La domesticazione del cane è il risultato dei processi di evoluzione e delle origini del cane correlati tra loro, uno biologico e uno culturale (Clutton-Brock, 1992).
Price (1984) definisce la domesticazione come un processo evolutivo attraverso il quale una popolazione animale si adatta all’uomo e alla vita in cattività attraverso cambiamenti genetici.
La domesticazione del cane è quindi un processo Darwiniano che include forme di selezione presenti nelle popolazioni naturali, di conseguenza, gli animali addomesticati trovano la loro specifica nicchia ecologica nell’ambiente creato dall’uomo (Miklósi, 2007).
Attraverso la domesticazione, una popolazione animale rimasta isolata dal punto di vista riproduttivo dalla metapopolazione selvatica di appartenenza, và così a costituire un piccolo gruppo fondatore che presenterà inizialmente un tasso di inbreeding piuttosto elevato e che, in seguito, andrà incontro ad un processo di deriva genetica (Clutton-Brock, 1995).
Dopo diverse generazioni, la “specie” domestica crescerà in numero e il suo patrimonio genetico cambierà rispetto a quello della popolazione selvatica di appartenenza utilizzando i processi della selezione naturale in risposta ai nuovi fattori provenienti dall’ambiente umano (Clutton-Brock, 1995).
Oltre che su tali fattori, la selezione agirà anche sotto gli stimoli di fattori abiotici, come per esempio i cambiamenti di temperatura, le glaciazioni, i movimenti tettonici, e di fattori biotici come la presenza di fonti di cibo, di altri competitori o di potenziali predatori (Miklósi, 2007).
La domesticazione del lupo, al contrario di quella di tutti gli altri animali domestici, è stata effettuata da popolazioni nomadi di cacciatori e raccoglitori piuttosto che da popolazioni che avevano già creato insediamenti permanenti.
Durante la fine dell’ultima glaciazione, la migrazione dei popoli nomadi interessò territori occupati tradizionalmente da predatori naturali come il lupo.
L’avvicinamento dei primi lupi agli accampamenti dei cacciatori-raccoglitori fu possibile grazie alla tendenza di alcuni di questi Canidi selvatici a non mostrarsi eccessivamente timorosi alla vista dell’uomo.
Attratti dalle tracce lasciate dagli animali cacciati, essi poterono raggiungere gli accampamenti umani dove con molta probabilità trovarono nei resti della macellazione un facile pasto.
Clutton-Brock (1984, 1995) ha ipotizzato che questa preferenza da parte dei cacciatori-raccoglitori e dei lupi per le stesse prede che spingeva gli animali a seguire l’uomo nelle battute di caccia, sia stata fondamentale nella diffusione durante il Mesolitico dell’uso dell’arco e delle frecce come strumento di caccia.
E’ infatti possibile che tali lupi o protocani, seguendo le tracce olfattive degli animali appena colpiti dalle frecce, riuscivano così a trovarli, offrendo un vantaggio significativo all’uomo.
L’instaurarsi di questa mutua interazione doveva, inoltre, essere accompagnata dall’insediamento di tale branco di lupi, particolarmente poco timorosi ed opportunisti, nei territori circostanti gli accampamenti umani.
In questo modo, si venne a creare una nuova nicchia ecologica in cui i lupi o i protocani, con lo sviluppo dell’interazione tra essi e l’uomo promossa dai mutui benefici, seguito da cambiamenti fenotipici e genotipici, gradualmente poterono evolvere nel cane domestico.
Questa iniziale fase di transizione probabilmente durò centinaia o migliaia di anni, durante i quali i lupi vivevano in associazione con gli uomini, ma senza nessun intervento aggiuntivo da parte di questi ultimi.
Tale processo non sarebbe potuto avvenire se i lupi non avessero posseduto una soglia di paura elevata e una ridotta tendenza a scappare di fronte a individui e situazioni sconosciuti.
Tuttavia, in tutte le popolazioni naturali la variabilità genotipica e fenotipica sono fondamentali per la sopravvivenza stessa della specie, che è sempre sottoposta alle pressioni della selezione naturale.
Essendo una specie sociale, il lupo è soggetto a pressioni selettive che favoriscono un polimorfismo comportamentale utile alle attività in cui necessità una cooperazione; così un elevato grado di variabilità consente una suddivisione dei ruoli a livelli elevati (Fox, 1971).
Un branco di lupi beneficia quindi sia della presenza di individui molto timidi e reattivi in caso di pericolo, che di soggetti più imperturbabili che non fuggono davanti a una situazione estranea, ma che sono incuriositi da essa (Fox, 1971).
Le popolazioni naturali di lupi contenevano quindi individui naturalmente inclini alla domesticazione.
La situazione di mutua tolleranza offriva poi benefici anche agli uomini, che godevano dell’attività di spazzini, di allarme e di difesa del territorio svolte dai Canidi.
Secondo Scott (1968) un possibile passo verso una convivenza più stretta delle due specie potrebbe risiedere nell’adozione di qualche cucciolo di lupo da parte dell’uomo o, nel caso specifico, di una donna, ipoteticamente in seguito alla perdita del figlio.
Con l’allevamento in cattività cominciò la selezione artificiale che portò definitivamente all’evoluzione del lupo addomesticato in cane e alla coevoluzione della specie umana e canina.
Il primo passo della coevoluzione è stata la collaborazione nella caccia e successivamente la sorveglianza degli armenti in quanto da cacciatore-raccoglitore l’uomo stava diventando coltivatore e allevatore.
Con il passare del tempo l’uomo ha poi selezionato diverse specializzazioni, incluse quelle che ritroviamo oggi nei cani odierni come la difesa personale e territoriale, la caccia, la conduzione e la difesa delle greggi e la compagnia.